San Felice del Benaco (BS)

Autore: 
G. Zanfretta (1897)
Anno di intervento: 
2003 / 04
Tipo di intervento: 
Restauro storico - conservativo

1. Gaetano Zanfretta
2. Fasi preliminari
3. Le tastiere
4. Il rimontaggio
5. C'é chi dice
6. Concerti di inaugurazione


Due tastiere di 58 tasti e pedaliera orizzontale di 27 pedali.
Somieri a tiro. Il second'Organo (tastiera superiore), è collocato in alto sopra al G.O. e racchiuso in cassa espressiva. I registri sono comandati pneumaticamente, ma è ancora presente all'interno dello strumento gran parte dell'originale sistema meccanico.
Nella Chiesa prepositurale dedicata ai santi Felice, Adauto e Flavia, in San Felice del Benaco (Bs), esiste un Organo costruito tra il 1894 e il 1897 utilizzando buona parte di materiali più antichi appartenenti al precedente Organo Luigi Montesanti, realizzato nei primi decenni dell’ottocento, già a sua volta contenente materiale assai più datato (canne tardo cinquecentesche provenienti dal preesistente Antegnati) .
Tale strumento è stato ampiamente e pesantemente manomesso a più riprese nel secolo scorso. La fattura, spartana nell’esecuzione ma alquanto pregevole dal punto vista storico organario, delinea uno strumento tardo romantico simile a quelli prodotti tra la fine del XIX secolo e i primi decenni di quello successivo in area Veronese – Gardesana.
Se si eccettua la tipologia usata dalla scuola desenzanese, non possediamo elementi tali da permetterci di confrontare bene le diversità tecniche all’interno dell’evoluzione dell’opera dei suoi principali rappresentanti; ancor di più tra gli altri protagonisti di questo tipo di organaria. Ricordiamo per inciso che essa comprende oltre alle figure dei conosciuti Bonatti, quelle ora defilate ma anch’esse di primo piano dei Benedetti (che dei Bonatti furono gli splendidi cannifonisti) e degli evanescenti Doria. Questi autori influenzarono nei secoli successivi una vasta area che si estende oltre all’ambito veronese anche a quello mantovano ed emiliano, dando modo a tanti autori ottocenteschi di esprimere il loro pensiero organario in un periodo di profonda trasformazione per l’organo italiano. Tra questi  spicca Gaetano Zanfretta .
La situazione dello stato di fatto dei materiali e la lettura delle stratificazioni storiche suggerisce un intervento di restauro, ripristino e parziale ricostruzione storica il più filologicamente fedele possibile.
 All'inizio del mese di Aprile 2003, dopo aver ottenuto le autorizzazioni necessarie da parte della curia di Verona, competente per territorio e dalla Soprintendenza di Mantova, si è iniziato lo smontaggio del materiale fonico. Erano presenti il Dott. Marta Ragazzino, funzionario della Soprintendenza e incaricata di seguire tutti i lavori e del Prof. Flavio Dassenno, organologo incaricato dalla Parrocchia a Direttore dei lavori e già autore di una dettagliata ricerca preliminare e di un primo progetto di restauro.


Gaetano Zanfretta (Verona 11 Luglio 1830 – ivi 1905)


È l’esponente più autorevole, artisticamente e tecnicamente, di una famiglia di organari veronesi attiva tra la seconda metà del 1800 e i primi decenni del 1900. Costruì diversi strumenti, oltre a moltissime riforme più o meno estese, in tutto il Veneto, nel mantovano, nel bresciano e qualcuno in Istria, godendo di maggior apprezzamento e fortuna di quanto riconosciuto dalla storiografia organaria nazionale dell’ultimo mezzo secolo.
La sua filosofia costruttiva non è ancora bene conosciuta. E’ stata forse ingiustamente criticata e troppo penalizzata da Antonio Bonuzzi nel confronto con gli strumenti che l’inglese Trice costruisce nel veronese,  e a causa degli studi poco numerosi e poco approfonditi su di un numero sufficiente di suoi lavori.
Dai pochi rilievi finora effettuati, pare emergere una figura divisa tra precoce curiosità personale per alcune caratteristiche tecniche all’avanguardia mutuate dagli organi stranieri (come le pedaliere cromatiche reali di 25 note, riducibili però anche ad ottava corta, oppure anche alla francese, o ancora le casse espressive adottate attorno agli anni 70-80) e i dettami del movimento ceciliano allora nascente, con predilezione per le sonorità cupe, come annotato in diverse diciture di registri e in alcune clausole contrattuali.
Probabilmente a torto e apparentemente in contrasto con quanto detto sopra, gli si attribuisce talvolta anche una visione del quadro fonico ancora troppo legata all’impostazione ottocentesca italiana tradizionale. Ciò che è invece riscontrabile nelle disposizioni foniche, talvolta titubanti esteticamente, è  la ricerca di un nuovo equilibrio tra impronta nazionale e influenze d’oltralpe, date come modello proprio in quegli anni dagli ispiratori della riforma stessa, come Roberto Remondi e don Antonio Bonuzzi (con il quale avrà fecondi scambi iniziali, prima di venire messo da parte in favore dell’inglese Trice). In esse, appaiono ancora diversi registri spezzati, abbinati comunque per tipologia e piedaggio.
Alla Esposizione Musicale di Milano del 1881 ricevette una medaglia di bronzo per “specialità di meccanismo e di lavorazione” assieme a Pacifico Inzoli, mentre il figlio Alessandro ebbe quella Onorevole di Collaborazione. Anche nel 1884 all’esposizione di Torino ricevette una medaglia di bronzo, mettendo in mostra “un organo da sala, di formato francese, della ditta Gaetano Zanfretta e figli, di Verona… Le tastiere e la pedaliera sono poste sopra una panchetta staccata, per cui il suonatore non volge le spalle al pubblico. Questo strumento contiene 24 registri, fra i quali il violino a freno, modificato dallo stesso fabbricatore”. Nell’Esposizione di Verona del 1886 venne invece criticato “per aver voluto copiare certi organi forestieri”.
Tra le riforme spicca quella per il Duomo di Verona, effettuata nel 1890, che diede luogo a uno strumento ingrandito, di due tastiere di 61 tasti e una pedaliera di 30 note, con registrazione a pomelli estraibili di 14 registri per il Grand’Organo, 8 per l’Espressivo e 5 per la pedaliera; più Staffa Espressiva e 7 pedaletti di combinazione, meccanica a squadrette e somieri a tiro. Su questo strumento all’inaugurazione vennero eseguiti brani di Bach, Guilmant, Capocci, Dubois e altri. Altro strumento monumentale e interessante per la sintesi fonica ben equilibrata è quello di S. Lucia di Piave a 22 registri del 1892, in splendida cassa neogotica.
 A lui succedettero i figli Alessandro e Antonio (1863 – 1932), i quali già lo aiutavano negli ultimi decenni del suo lavoro. Gli organi dei figli non furono all’altezza di quelli del padre; per risparmiare o velocizzare il lavoro (e talvolta per addurre scuse e giustificazioni per i ritardi), si rifornivano di canne anche all’estero.  (Torna all'inizio)


                                                        Prof.  Flavio Dassenno
                          (Responsabile direzione lavori per la Parrocchia di S. Felice)


 


Fasi preliminari


Quando nel novembre 2002, su invito della Parrocchia di S. Felice e del Comitato per il restauro dell’Organo ho effettuato il sopraluogo preliminare, devo ammettere che il primo impulso è stato quello di lasciar cadere la cosa e non presentare il mio progetto per la gara d’appalto che si era organizzata. E questo non tanto per le oggettive condizioni di conservazione dei materiali quanto per il vero e proprio caos che regnava ovunque all’interno della cella. 
Non di rado capita di dover esaminare strumenti completamente dimenticati ormai da molti decenni, magari scomposti nel canneggio, con interi registri ammassati in casse o scatoloni, con vistose lacune o sommersi da calcinacci e quantaltro. Ma dopo un rapido esame, tutto (o quasi) è leggibile, le principali vicissitudini si snodano con una certa comprensibilità e hai la chiara percezione di cosa ti trovi di fronte.
Quel  8  novembre invece, dopo oltre tre ore passate ad esaminare ogni componente nella speranza di dare al tutto un senso logico e dopo aver scattato oltre 120 immagini stavo per gettare la spugna. Stratificazioni su stratificazioni, mutilazioni di ogni sorta, disposizioni di elementi senza un senso apparente. Basti citare la reinterpretazione delle file di Ripieno in una sorta di Mixtur nella quale trovavano posto nella tessitura medio acuta canne assai più gravi di quelle fondamentali di Principale 8’ e 16’. Queste approdate lì dalle provenienze più disparate e previa riduzioni nei corpi che poi si saranno quantificate nell’ordine anche di una terza e oltre.
Ci sono voluti diversi giorni di accurati e ripetuti esami della documentazione fotografica redatta in fase di sopraluogo per sentirmi appena un pò più a mio agio, tanto da decidere di raccogliere la sfida e pensare di redarre un progetto di intervento.
 Poi, una volta rimboccate le maniche e iniziati i lavori in laboratorio, potendo contare anche su una chiara visione di tutto il materiale, la passione che sostiene chi opera in questo campo (e non potrebbe essere diversamente) ha avuto il sopravvento e la possibilità di misurarmi con un puzzle come questo mi entusiasma ogni giorno di più.  (Torna all'inizio)

 


Le tastiere


Due tastiere di 58 tasti. I diatonici sono lastronati in osso mentre i cromatici sono realizzati in noce tinta. Le condizioni  generali di conservazione strutturale  erano discrete tranne che per i punti di aggancio alla legatura della seconda tastiera (Espressivo). Tali ponticelli in noce erano pesantemente compromessi dal tarlo. Il telaio, la cui laccatura originale nera era sbiadita o in buona misura del tutto consunta, era  pure vistosamente tarlato.
Le componenti della legatura per entrambe le tastiere erano profondamente arrugginite tanto da impedire il seppur minimo movimento dei nottolini di regolazione in cuoio. Molte di queste barrette filettate, dopo gli sforzi per disossidarle, si sono rivelate del tutto corrose e non più in grado di assolvere alla loro funzione e quindi sostituite.
I primitivi nottolini di regolazione, non più efficienti ,erano stati in buona parte sostituiti con materiali di fortuna, come ad esempio frammenti di tubo per l'acqua  in gomma . La necessità aguzza l'ingegno.
Nuove in buona misura le feltrature consumate e rose dalle tarme. Molti tasti che presentavano laschi eccessivi sono stati rivisti nei fori di guida per ridurre i movimenti laterali.
Il frontalino superiore che ora ospita i pomoli dei registri, 13 dei quali originali Zanfretta e provenienti da uno strumento da lui riformato, è lo stesso che prima, opportunamente tagliato e ridotto letteralmente in pezzi, sorreggeva i bilancieri del sistema pneumatico. Sul retro si possono ancora leggere i nomi dei registri originali e la loro disposizione. Per questo si è deciso di preservarlo suturandone con inserti in noce tutte le lacune.
Assai interessante è il sistema ad eccentrici che trasforma il movimento dei registri da orizzontale a verticale. Questi elementi in noce sono stati ricostruiti in copia esaminando uno strumento dello stesso autore di soli due anni precedente a quello di S. Felice, dotandoli di un sistema di regolazione di mia invenzione. In una guida ricavata all'interno dell'eccentrico, un blocchetto di pero ospita un piccolissimo bulloncino al quale è ancorata la legatura che sale verticalmente ai catenacci dei registri. Facendo scorrere tale blocchetto verso l'interno diminuisce il raggio d'azione dell'eccentrico e di conseguenza la corsa della stecca, fermo restando lo scorrimento orizzontale dei pomoli, identico per tutti. Tale accorgimento si è rivelato provvidenziale in fase di rimontaggio. (Torna all'inizio)


                                                                                    


Il rimontaggio


Dopo circa un anno e mezzo dall'inizio delle operazioni di restauro e a fronte di un monte ore lavorative che si avvicina alle 2400, si sono conclusi i lavori all'Organo di S. Felice del Benaco. Nel corso di quest'ultima fase, protrattasi per circa tre mesi, le problematiche maggiori incontrate sono state causate da una eccessiva vicinanza di molti registri sul somiere maggiore con conseguenti difficoltà di ottimizzazione dell'intonazione di alcune canne. Tali ostacoli sono stati definitivamente risolti tramite il rialzo di tre di esse mediante prolunghe al piede per garantire un minimo di spazio davanti e attorno alla bocca al fine di ottenerne una perfetta pronuncia.
Ben proporzionato si è rivelato il flusso del vento dalla manticeria anche se la riduzione della lunghezza dei ventilabri operata da Zanfretta nel corso della sua riforma ha richiesto notevole cura nella gestione dell'aria ai singoli registri specie in regime di "Forte generale".
Come previsto fin dall'inizio, la ricostruzione dei registri soppressi (peraltro sempre parziale, avendo la fortuna di avere per tutti questi una base di partenza garantita da gruppi più o meno corposi di canne disperse sotto i somieri o all'interno dei registri ancora in uso), ha arricchito enormemente le possibilità timbriche dell'Organo, mettendo in chiara evidenza le intenzioni dell'autore. In particolar modo la mancanza di un registro di 2 piedi in fila separata nel ripieno è stata brillantemente compensata dal Piccolo 2'. Questo registro in stagno con taglio di flauto disposto su tutta la tastiera e collocato in facciata davanti ai piedi delle canne di mostra è stato ricostruito sulla scorta di 10 canne superstiti e sparse fortunatamente su tutta la tessitura. Oltre ad un indiscutibile effetto scenografico può essere paragonato all'aggiunta del colore bianco sulla tavolozza di un pittore, con un conseguente esponenziale incremento delle possibilità cromatiche disponibili.
Mi sia concesso in questa sede un doveroso ringraziamento al Parroco e tutto il Comitato che ha voluto e seguito con dedizione e disponibilità tutte le fasi dei lavori, nonché al Prof. Flavio Dassenno, la cui competenza ed esperienza si sono rivelate preziose nel corso dell'intero delicato percorso di lavoro.
A conclusine del lavoro si é voluto coronare l'evento tramite una pubblicazione in cui trovano ampio spazio tra l'altro, supportati da una ricchissima documentazione fotografica, gli esaustivi e particolareggiatissimi rilievi metrici (disegni in pianta e sezione) di tutte le componenti lo strumento, realizzati come ormai prassi per questa Bottega Organaria da Aurelio Sandal Marengoni. Questo interessante contributo sarà presentato al pubblico in occasione dei concerti di inaugurazione dello strumento.  (Torna all'inizio)


C'é chi dice


Qui di seguito proponiamo le impressioni ed i pareri di due voci eminenti nell'ambito dell'organaria italiana: il M° Umberto Forni, concertista ed Ispettore onorario presso la Soprintendenza di Verona ed il Prof. Flavio Dassenno, Ispettore onorario per la Soprintendenza di Brescia-Mantova- Cremona ed affermato organologo.


Il M° Umberto Forni, dopo il Concerto d'inaugurazione scrive:
Bravo Chiminelli.
E bravo Flavio Dassenno, che ci ha creduto fino alla fine ed è rimasto a soffiargli sul collo: chi avrebbe mai detto che si potesse restaurare l'organo della chiesa parrocchiale di S. Felice senza alcun compromesso?
Sembrava impossibile infatti rimettere le Trombe; non si era mai visto un Principale II di legno, dal Do1, con i piedi lunghi più di un metro e venti centimetri collocato a metà del somiere maestro, per non dire dell'Oboe in cassa espressiva che ci vuole un acrobata per accordarlo, della meccanica del Principale 16 sempre attaccata che solo a pensarci viene male alla mano, della Viola Gamba di 8 che sembra un muro davanti alle canne di ripieno e di tutti i problemi di intonazione dovuti alla presenza di molti materiali di recupero, di diversa fattura e provenienza…
Bene, alla fine tutto è andato a posto. Dopo molti chilometri su e giù per la scala a pioli e migliaia e migliaia di flessioni, è così che l'organaro si mantiene in forma, tutti i meccanismi funzionano perfettamente e l'organo suona, restituendoci un pezzo piccolo ma importante della nostra storia organaria. Qui trovano l'habitat ideale molte composizioni dell'epoca mentre l'organo assolve egregiamente il suo compito precipuo che è quello di servire la Liturgia. Alcune sonorità sono di una bellezza assoluta, altre lasciano un po' perplessi: Gaetano Zanfretta non è un organaro di prima grandezza e i suoi strumenti costruiti secondo la tradizione ottocentesca tendono a gridare come una banda di paese, mentre quelli che se ne discostano appena per rispondere alle istanze del Movimento Ceciliano presentano un impianto strampalato. A San Felice se ne è recuperato uno particolarmente raro, uno di transizione, concettualmente moderno ma sostanzialmente radicato nella vecchia maniera. Senza la purezza degli organi antichi, senza le comodità di quelli nuovi, questi strumenti costruiti a cavallo tra Otto e Novecento sono stati i più bistrattati. Ancora oggi si fatica a trovare un organaro disposto a restaurarli filologicamente applicando gli stessi pesi e le stesse misure di quando si interviene sullo strumento di antica e nobile tradizione.
E allora ancora bravo Chiminelli per il coraggio dimostrato nell'avventurarsi in un campo così difficile, per aver superato gli ostacoli più impervi e soprattutto per l'acribia filologica che lo ha portato a lavorare senza aggirarli, senza mai cedere alla tentazione di piegare al proprio gusto tutto quanto poteva sembrare anomalo.


                                                                 Umberto Forni


                                                         Verona, Novembre 2004


                    


Il Prof. Flavio Dassenno scrive:


GAETANO ZANFRETTA in S. Felice
Sonorità tardoromantiche italiane semisconosciute, ovvero ...."dell' ascoltar con calma gli "oscuri" suoni".
Sgombriamo subito il campo a facili fraintendimenti. Chi si bea solamente della raffinatezza di Raffaello le cosce, i lombi e i torsi di Michelangelo li guarda con un certa sufficienza, se non addirittura con disgusto. Così è per le fidanzate e anche per gli strumenti. L’organo della Parrocchiale di S. Felice insegue un ideale estetico chiaramente improntato alle sonorità tardoromantiche, scure e misteriose, spesso pesanti, talvolta grevi, dell’organo sinfonico europeo dell’epoca. Tutta roba che ha fatto arricciare il naso ai più blasonati organologi nostrani, i quali al grido di: “Antegnati, Antegnati! Rinascimento e Barocco!! Casomai Serassi e Callido” hanno frettolosamente gettato alle ortiche una parte cospicua, troppo importante del nostro patrimonio organario tardo ottocentesco e novecentesco.
Nonostante alcuni risvegli degli ultimi anni, e qualche felice oasi operativa, dovuti alla buona volontà di restauratori e organologi della nuova generazione, fortunatamente privi del condizionamento dato dal “suono di famiglia” o “di bottega” o “di tradizione”, tale immenso patrimonio acustico, culturale e liturgico è ancora assai lontano dall’essere pienamente catalogato e studiato. Corre ancora anzi il pericolo, di essere usato per operazioni di costruzione di organi nuovi con materiale soggetto a tutela di legge. Magari con il placet dell’Ispettore Onorario più arrogante e disinvolto del momento. Spesso più organista che organologo.
Ecco quindi che il restauro dell’organo Gaetano Zanfretta 1897 avvenuto a S. Felice del Benaco, assume un’importanza tutta particolare, in quanto ha permesso di recuperare alla piena funzionalità uno strumento che per peculiarità timbriche, storiche, costruttive, e qualità artistica, tanto si differenzia dalla stragrande maggioranza degli strumenti che ogni anno riprendono fiato, e che altrimenti sarebbe andato distrutto, per le premesse culturali citate e per l’assenza di chi dovrebbe studiarli meglio per tutelarli e valorizzarli.
Vogliamo partire dai luoghi comuni più triti, per tentare di liberare proprio da loro stessi, l’ARTE SONORA di Gaetano Zanfretta. Quella pensata per i registri dello strumento costruito con possibilità semiautarchiche, nella Parrocchiale di S. Felice del Benaco. Sono scuri, sì, scuri, talvolta fino al cupo della depressione, sentimento che deve averlo attanagliato quando ha capito che i figli non l’avrebbero seguito nel suo difficile lavoro, lasciandolo spesso solo. E densi. Di uno spessore tale che tende al pesante, con una prevalenza di armonici fondamentali rispetto a quelli superiori. Talvolta greve. Sia nei fondi che nei ripieni e nelle ance.
Quest’ultime anche aspre e alcune incerte. Ma adattissime nella loro apparente ingenuità a rendere certe atmosfere massicce. La Tromba di 8 e soprattutto il Flicorno di 16, entrambi al grand’Organo, non escono più di tanto da schemi straconosciuti un poco grezzi, ma sono capaci in certe zone, unite ai fondi, e con tutti i limiti di questo mondo, di evocare quell’atmosfera di macigno aggressivo voluta dalla batterie di ance alla francese.
Zanfretta è davvero un povero ammiratore e impotente imitatore della più agguerrita organaria di Cavaillè Coll? Sì; con le sue povere forze ha la pretesa di emularlo, sintetizzando in 22 registri le potenzialità di strumenti molto più grandi, per i quali ci vorrebbe uno spazio e una capacità tecnica doppia. Proviamo però, non solo per un attimo e con un poco più di convinzione e buona volontà, a toglierci davvero dalle orecchie quelle pestifere stratificazioni, che si chiamano inquinamento sonoro, condizionamento storico e mode acustiche contemporanee. Imposte o volute, spacciate spesso per filologia (anche gli antegnatiani, o i presunti tali, nuocciono alla salute acustica d’Italia, soprattutto quando di Frescobaldi circolano in repertorio solo 15 brani sui più di 200 composti dal ferrarese, o quando ripropongono 1000 interpretazioni dell’Aria della Battaglia, dove di guerresco, spessissimo, c’è solo il fracasso) e vediamo di approfondire un poco il discorso.
Nonostante questi limiti crea uno strumento comunque assai interessante e funzionale, le cui sonorità, se sono valutate appunto senza i condizionamenti culturali di cui dicevo, riservano gradite sorprese artistiche e ci fanno riapprezzare con notevole livello i brani della scuola organistica che gravita attorno a personaggi come Franck, ma soprattutto Bossi e tutti i loro emuli ed epigoni, per giungere ai bresciani Remondi, Tebaldini, Bambini, e perché no, Tonelli.
Ma bisogna saperlo prima restaurare nei materiali e poi esplorare nell’idea acustica con vera esperienza e orecchio scevro da pregiudizi. Devi essere davvero un raffinato artista e abile e delicato restauratore, prima ancora che valido organista per avvicinarti ai pregi nascosti sotto un’aspetto dimesso, in un’epoca dove trionfano paillettes e lustrini, per non dire di peggio.
E’ il caso ad esempio del piccolo Organo Espressivo di soli 4 registri, quello rimasto nelle migliori condizioni di conservazione per la sua difficile accessibilità, con canne non bistrattate e dentature adeguatamente profonde, omogenee e regolari. Qualche saccente, demolitore in malafede o perfetta ignoranza invece (e ne ho visti tanti anche tra blasonati addetti ai lavori: organari concorrenti, organisti “rinascimentali” o ispettori ministeriali che siano), batterà rapidamente le prime canne gravi dell’Oboe dicendo: “Ecco, è tardo e gracchia”. Facendo la figura di quel particolare, gustosissimo aperitivo tanto in voga nel bresciano. O bestia! Non sai che l’Oboe si suona negli acuti e che quella è una zona critica anche per i migliori Fagotti, come tutte le zone estreme, alte o basse che siano? A parte il fatto che non si suona battuto così (come fossi morso dalla tarantola dicevano gli antichi), se non in passaggi particolari. E casomai non pestato. Succede, ve lo giuro. Più spesso di quanto non si creda.
Passando al Grand’Organo si deve dire che nonostante il materiale sia molto eterogeneo e abbia sofferto parecchio (le bocche erano state martoriate da pressoché tutto il repertorio di ciancicature possibili che hanno messo a durissima prova il restauratore) il recupero di sonorità tenebrose tipiche è ben riuscito in generale, con una notevole differenziazione tra la scura cantabilità, anche troppo flautata (ma la volevano così) dei due Principali di 8 piedi, quello di 16 e la nitidezza pur in stile dell’Ottava di 4, permettendo diversi impasti. La presenza della Duodecima, registro poco capito e negletto, aumenta quel tanto di nasale nei mezzi ripieni e in certi amalgami con le ance, ma permette anche movimenti di dettaglio particolari in passaggi brillanti coi flauti, resi splendidi dalla sferzante folgore luminosa del Piccolo di 2 piedi, eccellentemente ricostruito da Chiminelli sulla base delle sole sei canne rimaste.   
Il Ripieno a 5 file riunito in blocco dalla XV e limitato alla Vigesimanona, è piuttosto sostenuto e quasi aggressivo, riesce comunque a mantenere bene l’atmosfera della sonorità più tipica di qualsiasi organo. Il timbro generale dello strumento, può comunque elevarsi, attraverso tutta una serie di impasti e leggerezze intermedie (il Flauto 8, l’Ottavino di 4 del Grand’Organo), fino alla lievità del Bordone dell’Organo Espressivo, scuro sì, ma impalpabile, di buonissima rarefazione e comunque ottima percettibilità in pressoché tutta la tessitura fino al più remoto angolo della chiesa. E così la densità dei Principali del Grand’Organo, ad iniziare da quello di 16 piedi, trova una vincente sublimazione nella serena, pacata eleganza e delicatezza del Principalino dell’Espressivo.
Zanfretta si riscatta dal tragico, apparentemente perdente confronto esterofilo, lasciando comunque qua e là tracce, sia pure labili, di una sommessa vocalità padana ormai perduta per la maggior parte, in omaggio allo strumentalismo sinfonico tardoromantico. Invece di tentare di uniformare ed egualizzare ad ogni costo tutto l’ambito delle tastiere, lascia che le quattro o cinque tessiture fondamentali cantino ancora leggermente differenziate tra loro. Proprio come richiesto nei migliori pianoforti collaudati da Liszt e Franck, che ammiravano il mantenimento del carattere timbrico delle varie zone della tastiera, piuttosto che appiattirlo con un timbro troppo regolare e uniforme come spesso l’organaria nostrana del Novecento tenterà di realizzare, a tutto suo danno.
Luca e Umberto non credevano alle loro orecchie, man mano che la caparbia volontà e la raffinata capacità del primo, ridavano voce a ogni singolo settore dei vari registri.
Solo l’organologo, quel disgraziato rompiscatole, ci aveva testardamente creduto fin dalle prime battute, quando tutto era ancora sfigurato… e ora invece è lì, nella sua onesta bellezza tardoromantica italiana a rendere giustizia alla fatica del povero Gaetano e del restauratore.
Il “Canto della Sera” di Marco Enrico Bossi, che ha fatto vibrare di romantica passione, tante generazioni di suorine e giovani donne, trepidanti d’amore o di paura per lo sposo al fronte, è veramente rinato, assieme a questa bella fetta di sonorità italiane fino a ieri neglette.
Fatevi inviare le belle incisioni dei concerti inaugurali di Umberto Forni e Alessandro Foresti, nelle quali i timbri singoli o gli amalgami di cui ho tentato di accennare, sono stati abilmente esplorati e trovano degno riscontro, e sentirete se ho esagerato.  (Torna all'inizio)


                                   Flavio Dassenno
                              Brescia  gennaio2005
 


Concerti di inaugurazione


Sabato 23 Ottobre 2004 ore 20.30
Organista UMBERTO FORNI
Programma:


F. Mendelssohn    1809-1847           - Sonata III in La maggiore  (Con moto, maestoso – Andante tranquillo)
J.S. Bach              1685-1750             - Largo,  dal Concerto in fa min. BWV 1056
G. Morandi           1777-1856             - Marcia funebre
G. Rossini             1792-1868            - Preludio religioso, dalla “Petite Messe Solennelle”
M.E. Bossi           1861-1925              - Canto della sera
C.A. Franck        1822-1890                - Pastorale
J.N. Lemmens     1823-1881             - Fanfare


Sabato 6 Novembre 2004  ore 20.30
Organista ALESSANDRO FORESTI
Programma:


A. Vivaldi  1678 - 1741                       Concerto in Si minore   Allegro – Adagio – Allegro
                                                               Appropriato all’organo da J. G. Walther
J. S. Bach   1685-1750                      Herr Christ, der ein’ge Gottes – Sohn
                                                               Das alte Jahr vergangen ist
                                                               In dir ist Freude
F. Mendelssohn  1809 - 1847          Sonata II in Do min.  (Grave - Adagio - Allegro maestoso – Fuga)
C. Franck            1822 - 1890            Pièce Héroique
S. Karg-Elert      1877 - 1933            La nuit  dall’ Op.72  - Marche triomphale
F. Peeters                1903 – 1986      Concert Piece (Allegro impetuoso - Poco cantabile – Allegro vivo) 
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